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Il polmone verde della città: a spasso in San Rossore

Dichiarata parco naturale nel 1979, in precedenza la zona era stata residenza dei Savoia. E' stata anche un rifugio nel corso della seconda guerra mondiale, ed un re vi sposò la sua storica amante

Le corse all'Ippodromo, le 'biciclettate' e le 'braciate' con la famiglia ed il gruppo di amici. Ancora: le passeggiate nelle pinete, le gite in carrozza o il bagno sulla spiaggia del Gombo. San Rossore e Pisa sono legati da un filo di intimità che rende il parco il polmone verde della città: naturale sfogo e rifugio degli amanti della natura, ma anche di coloro i quali vogliono staccare dalla routine quotidiana. Il suo sviluppo affonda le radici in piena epoca moderna.

1. I primi interventi dei Medici

Lo sviluppo, anche urbanistico, di San Rossore passa attraverso i principi e le famiglie nobili che nel tempo ne hanno avuto il possesso, oppure l'uso esclusivo. In ordine cronologico: i Medici, i Lorena ed i Savoia

La famiglia proveniente dal fiorentino non riuscì mai a strappare la proprietà della tenuta al Capitolo dei Canonici del Duomo di Pisa, che a sua volta ne aveva ottenuto la dotazione dall'imperatore Enrico IV nel 1084. I Medici però ottennero di utilizzare il territorio corrispondendo un affitto, sia in denaro che in prodotti della terra e del bosco. Fu la famiglia del celebre Lorenzo il Magnifico a gettare il seme dell'urbanizzazione all'interno dell'odierno parco, costruendovi con Ferdinando I, all'inzio del 17° secolo, la Cascina Ferdinandea (oggi chiamata Cascine Vecchie). Il figlio, Cosimo I, ebbe il merito di avviare diverse attività economiche: la più importante e più ricordata, ancora oggi, è l'insediamento massiccio di pinete per la produzione dei pinoli. Una scelta che ha lasciato un tratto caratteristico nel panorama paesaggistico di San Rossore.

2. La nascita dell'ippodromo sotto i Lorena

Dopo la scomparsa dell'ultimo discendente della famiglia dei Medici (Gian Gastone, nel 1737), San Rossore passò sotto il controllo della famiglia dei Lorena, che riuscirono ad acquistarne la proprietà nel 1822 al prezzo di 12000 lire. Sette anni più tardi Leopoldo II costruì la villa reale a Cascine Vecchie, aprendo anche una via carrozzabile da lì fino alla spiaggia del Gombo. Questa strada dal 1833 venne messa a disposizione della città, formando così un'arteria unica con il Viale delle Cascine.

Sempre sotto la reggenza di Leopoldo presero il via le attività ippiche, collegate alle scuderie già situate nella zona di Barbaricina. L'attività dell'ippodromo iniziò ufficialmente il 3 aprile del 1854, anche se la pista da corsa nel prato detto 'degli Escoli' (delle querce) era stata tracciata nel 1829.  La gestione della struttura si stabilizzò però soltanto nel 1891 quando, anche grazie all'input dato dal sindaco della città Angiolo Nardi Dei, venne fondata la Società Alfea, tutt'oggi gestore dell'ippodromo e capace di far assurgere l'impianto pisano nel 'gotha' internazionale dei purosangue.

3. Lo sviluppo definitivo con i Savoia

Con l'unità d'Italia la tenuta passò sotto alla nuova famiglia regnante, i Savoia. Già con Vittorio Emanuele II, e poi con i discendenti Umberto I e Vittorio Emanuele III, la zona di San Rossore andò incontro a nuove evoluzioni urbanistiche e paesaggistiche. In ordine cronologico, vennero realizzati gli impianti della Sterpaia (1862), della Palazzina (1882), del Boschetto (1885, utilizzato come stalla per la popolazione di cammelli, recentemente reintrodotta nel parco).

Nel 1870, inoltre, era stato portato a termine anche lo chalet in curioso stile alpino nei pressi della spiaggia del Gombo. Proprio la decisione di insediare in questa zona una residenza ufficiale della famiglia reale portò alla chiusura dell'accesso dell'arenile alla popolazione cittadina. I regnanti dal 1926 al 1930 portarono a compimento anche la completa regimazione del fiume Morto, e assistettero alla straordinaria piena dell'Arno a inizio 1920, che fece crollare un piccolo ponte che era stato eretto da Vittorio Emanuele II nel 1876 per collegare la tenuta di San Rossore con Coltano e Tombolo.

Vittorio Emanuele III era solito trascorrere ben sei mesi - da giugno a novembre - nella tenuta pisana, e qui era solito sottomettere a giuramento i nuovi ministri del governo. Sempre nella villa reale il monarca sabaudo ricevette diversi regnanti e capi di stato stranieri. E purtroppo le pinete ed i pascoli di San Rossore sono stati anche la scenografia che ha fatto da contorno ad alcune decisioni rivelatisi poi decisamente tragiche per il futuro del paese. Nel 1922 il re si trovava a Pisa quando decise di non condannare la 'marcia su Roma' delle camicie nere, favorendo di fatto l'ascesa al potere del partito fascista. E nel 1938 le leggi razziali vennero firmate e poste in essere dalle stanze della villa reale.

4. Le nozze morganatiche del re

La tenuta di San Rossore è passata alla storia anche per essere stato il luogo nel quale il primo re d'Italia, Vittorio Emanuele II, sposò con rito morganatico Rosa Vercellana, conosciuta nella tradizione popolare come 'la bella Rosina'. Il monarca, oltre ad essere un grande appassionato di caccia e del buon vino, era anche un abile ed incallito corteggiatore, al punto che la sua consorte ufficiale, la regina Maria Adelaide, arrivò ad accettare le sue frequente 'scappatelle' pur di non minare l'equilibrio della casata e del neonato regno.

Una di queste infatuazioni però fu più forte e duratura delle altre: Rosa Vercellana divenne prima l'amante ufficiale del re, e poi nel 1869 la sua seconda moglie. Contrasse con lei un matrimonio morganatico: la bella Rosina non apparteneva a nessuna famiglia nobile, e per questo motivo se il monarca fosse deceduto prima di lei non avrebbe avuto diritto ad ereditare nessun titolo o possedimento. Vittorio Emanuele aveva in ogni caso provveduto ad elevarla a contessa di Mirafiori e Fontanafredda, ma poté convolare a nozze (era rimasto vedono nel 1855) soltanto dopo aver accettato questo accordo impostogli dalla famiglia e dal clero. 

Il rito venne celebrato proprio nella tenuta di San Rossore, e quando il re morì nel 1878 Rosa si ritirò a vita privata: secondo alcuni a Palazzo Medici a Pisa, secondo altri nello chalet del Gombo. Morì di meningite nel 1885, ed il suo feretro venne poi trasportato da Pisa a Torino nei giorni successivi.

5. La costruzione di Cascine Nuove

Nel 1771 il granduca Pietro Leopoldo fece costruire 'una fabbrica delle Nuove Cascine', come si legge nelle memorie dell'abate Ranieri Lucchetti, parroco della chiesa di Sant'Apollinare in Barbaricina. Il granduca vi fece trasferire ben 160 vacche comprate in Lombardia con l'obiettivo di produrre burro e formaggio: due anni dopo raddoppiò il numero dei capi. Nel 1834 il successore Leopoldo II aggiunse due edifici paralleli ai lati della struttura originaria, adibendoli a ricovero dei cavalli. Nel 1871 Vittorio Emanuele II provvide ad unire i due tronconi per mezzo di un arco trionfale a tutto sesto.

6. Il monastero di San Lussorio

Nei pressi della struttura di Cascine Nuove si può vedere un piccolo prato rotondo, subito dopo aver oltrepassato l'arco. In quello stesso punto sorgeva, fino alla seconda guerra mondiale, il monastero di San Lussorio. L'edificio religioso nel corso del conflitto offrì rifugio e riparo a molte famiglie scappate dalla città a causa dei bombardamenti.

Il monastero venne eretto attorno al 1000 su indicazione del vescovo di Pisa, Geraldo, per dare una degna collocazione alla testa del martire San Lussorio, che la leggenda narrava fosse stata seppellita proprio in quel luogo. L'edificio venne affidato all'ordine dei Benedettini, e nel corso degli ottocento anni successivi venne sconsacrato e riconsacrato più volte. Nel 1822 il granduca Ferdinando III di Lorena lo ristrutturò completamente trasformandolo in un palazzo a pianta quadrata, residenza della famiglia quando era in vacanza a San Rossore.

Non fu però l'ultima sistemazione dell'ex monastero: pochi anni dopo vi venne ricavata al suo interno una chiesa e la sede dell'amministrazione della tenuta, oltre ad un magazzino per i generi alimentari, bagni pubblici e appartamenti per il personale della tenuta. La struttura all'alba del 17 giugno 1944 venne centrata da tre bombe alleate che lo rasero completamente al suolo. Pochi giorni dopo, nel mese di luglio, la Wehrmacht tedesca, in rotta di fronte all'avanzata dell'esercito statunitense, fece saltare volontariamente lo chalet del Gombo e la villa reale di Cascine Vecchie, dopo aver minato anche i ponti dell'Impero (oggi ponte di Mezzo) e della Cittadella.

Fonte: "Pisa, il romanzo della città", di Renzo Castelli; Edizioni Ets 2013


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